Questo capitolo introduce alla programmazione in Java, in modo superficiale, per dare un'idea delle potenzialità di questo linguaggio.
Java è un linguaggio di programmazione strettamente OO (Object oriented), cioè a dire che qualunque cosa si faccia, anche un semplice programma che emette un messaggio attraverso lo standard output, va trattato secondo la programmazione a oggetti.
Ciò significa anche che i componenti di questo linguaggio hanno nomi diversi da quelli consueti. Volendo fare un abbinamento approssimativo con un linguaggio di programmazione normale, si potrebbe dire che in Java i programmi sono classi e le funzioni sono metodi. Naturalmente ci sono anche tante altre cose nuove.
Fatta questa premessa, si può dare un'occhiata alla solita classe banale: quella che visualizza un messaggio e termina.
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Il sorgente Java ha molte somiglianze con quello del linguaggio C e qui si intendono segnalare le particolarità rispetto a quel linguaggio.
Java ammette l'uso di commenti in stile C, nella solita forma /*...*/, ma ne introduce altri due tipi: uno per la creazione automatica di documentazione, nella forma /**...*/, e uno per fare ignorare tutto ciò che appare a partire dal simbolo di commento fino alla fine della riga, nella forma //commento:
/* commento_generico */ |
/** documentazione */ |
// commento_fino_alla_fine_della_riga |
Tutti e tre questi tipi di commenti servono a fare ignorare al compilatore una parte del sorgente e questo dovrebbe bastare al principiante. Convenzionalmente, è conveniente usare il commento di documentazione per la spiegazione di ciò che fa la classe, all'inizio del sorgente.
Le estensioni dei file Java sono definite in modo obbligatorio: .java
per i sorgenti e .class
per le classi (i binari Java).
Generalmente, nel sorgente, il nome della classe deve corrispondere alla radice del nome del sorgente e, di conseguenza, anche del binario Java. Per lo stile convenzionale di Java, questo nome inizia con una lettera maiuscola e non contiene simboli strani; se è composto dall'unione di più parole, ognuna di queste inizia con una lettera maiuscola.
Le istruzioni seguono la convenzione del linguaggio C, per cui terminano con un punto e virgola (;) e i raggruppamenti di queste, detti anche blocchi, si fanno utilizzando le parentesi graffe ({ }).
istruzione; |
{istruzione; istruzione; istruzione; } |
Generalmente, un'istruzione può essere interrotta e ripresa nella riga successiva, dal momento che la sua conclusione è dichiarata chiaramente dal punto e virgola finale.
Ogni programma in Java deve fare affidamento sull'utilizzo di classi fondamentali che compongono il linguaggio stesso. L'importazione delle classi necessarie viene fatta attraverso l'istruzione import, indicando una classe particolare o un gruppo (nel secondo caso si usa un asterisco).
Nell'esempio introduttivo vengono importate tutte le classi del pacchetto java.lang, anche se non sarebbe stato necessario dichiararlo, dato che queste classi vengono sempre importate in modo predefinito (senza di queste, nessuna classe potrebbe funzionare).
Le classi standard di Java (cioè queste librerie fondamentali), sono contenute normalmente in un archivio compresso .zip
, oppure .jar
. Si è visto nel capitolo u150 che è importante indicare il percorso in cui si trovano, nella variabile di ambiente CLASSPATH.
Osservando il contenuto di questo file, si può comprendere meglio il concetto di pacchetto di classi. Segue solo un breve estratto:
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Ecco che così può diventare più chiaro il fatto che, importare tutte le classi del pacchetto java.lang significa in pratica includere tutte le classi contenute nella directory java/lang/
, anche se qui si tratta solo di un file compresso.
Generalmente, un file sorgente Java contiene la dichiarazione di una sola classe, il cui nome corrisponde alla radice del file sorgente. La dichiarazione della classe delimita in pratica il contenuto del sorgente, definendo eventuali ereditarietà da altre classi esistenti.
Quando una classe non eredita da un'altra, si parla convenzionalmente di applicazione, mentre quando eredita dalla classe java.applet.Applet (cioè da java/applet/Applet.class
) si usa la definizione applet.
La classe contiene essenzialmente dichiarazioni di variabili e metodi. L'esecuzione di un metodo dipende da una chiamata, detta anche messaggio. Perché una classe si traduca in un programma autonomo, occorre che al suo interno ci sia un metodo che viene eseguito in modo automatico all'avvio.
Nel caso delle classi che non ereditano nulla da altre, come nell'esempio, ci deve essere il metodo main che viene eseguito all'avvio del binario Java contenente la classe stessa. Quando una classe eredita da un'altra, queste regole sono stabilite dalla classe ereditata.
Il metodo main è formato necessariamente come nell'esempio: public static void main(String[] args) {...}.
In Java si distinguono fondamentalmente due tipi di rappresentazione dei dati: primitivi e riferimenti a oggetti. I tipi di dati primitivi sono per esempio i soliti tipi numerici (intero, a virgola mobile, ecc.); gli altri sono oggetti. Un oggetto è quindi una variabile contenente un riferimento a una struttura, più o meno complessa. In Java, gli array e le stringhe sono oggetti; pertanto non esistono tipi di dati primitivi equivalenti.
I nomi delle variabili possono essere composti utilizzando caratteri Unicode. Naturalmente, non è possibile utilizzare nomi coincidenti con parole chiave già utilizzate dal linguaggio stesso. La convenzione stilistica di Java richiede che il nome delle variabili inizi con la lettera minuscola; inoltre, se si tratta di un nome composto, la convenzione richiede di segnalare l'inizio di ogni nuova parola con una lettera maiuscola. Per esempio: miaVariabile, dataOdierna, elencoNomiFemminili.
In Java, le chiamate dei metodi avvengono trasferendo il valore degli argomenti indicati nella chiamata stessa. Ciò significa che le modifiche che si dovessero apportare all'interno dei metodi non si riflettono all'indietro. Tuttavia, questo ragionamento vale solo per i tipi di dati primitivi, dal momento che quando si utilizzano degli oggetti, essendo questi dei riferimenti, le variazioni fatte al loro interno rimangono anche dopo la chiamata.
Si è già accennato al fatto che Java distingue tra due tipi di dati, primitivi e riferimenti a oggetti (o più semplicemente solo oggetti). L'esempio seguente mostra la dichiarazione di un intero all'interno di un metodo e il suo incremento fino a raggiungere un valore predefinito:
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I tipi di dati primitivi rappresentano un valore singolo. Il loro elenco si trova nella tabella u151.4.
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Nell'esempio mostrato precedentemente, viene dichiarato un intero normale, contatore, inizializzato al valore zero, che poi viene incrementato all'interno di un ciclo:
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Ogni tipo primitivo ha la possibilità di essere rappresentato in forma di costante letterale. La tabella u151.6 mostra l'elenco dei tipi di dati abbinati alla rappresentazione in forma di costante letterale.
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È importante osservare che una costante numerica a virgola mobile è sempre a doppia precisione, per cui, se si vuole assegnare a una variabile a singola precisione (float) una costante letterale, occorre una conversione di tipo, per mezzo di un cast. In seguito vengono descritte le stringhe, che si delimitano utilizzando gli apici doppi. Per ora è solo il caso ti tenere in considerazione che in Java le stringhe non sono tipi di dati primitivi, ma oggetti veri e propri.
Il campo di azione delle variabili in Java viene determinato dalla posizione in cui queste vengono dichiarate. Ciò determina il momento della loro creazione e distruzione. A fianco del concetto del campo di azione, si pone quello della protezione, che può limitare l'accessibilità di una variabile. La protezione viene analizzata in seguito.
A seconda del loro campo di azione, si distinguono in particolare tre categorie più importanti di variabili: variabili appartenenti alla classe (member variable), variabili locali e parametri dei metodi.
Queste variabili appartengono alle classi e come tali sono dichiarate all'interno delle classi stesse, ma all'esterno dei metodi. L'esempio seguente mostra la dichiarazione della variabile serveAQualcosa come parte della classe FaQualcosa.
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Sono variabili dichiarate all'interno dei metodi. Vengono create alla chiamata del metodo e distrutte alla sua conclusione. Per questo sono visibili solo all'interno del metodo che le dichiara.
Nell'esempio visto in precedenza, quello che visualizza 10 «x», la variabile contatore veniva dichiarata all'interno del metodo main.
Le variabili indicate in concomitanza con la dichiarazione di un metodo (quelle che appaiono tra parentesi tonde), vengono create nel momento della chiamata del metodo stesso e distrutte alla sua conclusione. Queste variabili contengono la copia degli argomenti utilizzati per la chiamata; in questo senso si dice che le chiamate ai metodi avvengono per valore.
Gli operatori sono qualcosa che esegue un qualche tipo di funzione, su uno o due operandi, restituendo un valore. Il valore restituito è di tipo diverso a seconda degli operandi utilizzati. Per esempio, la somma di due interi genera un risultato intero.
Gli operandi descritti nelle sezioni seguenti sono solo quelli più comuni e importanti. In particolare, sono stati omessi quelli necessari al trattamento delle variabili in modo binario.
Gli operatori che intervengono su valori numerici sono elencati nella tabella u151.8.
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Gli operatori di confronto determinano la relazione tra due operandi. Il risultato dell'espressione composta da due operandi posti a confronto è di tipo booleano, rappresentabile in Java dalle costanti letterali true e false. Gli operatori di confronto sono elencati nella tabella u151.9.
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Quando si vogliono combinare assieme diverse espressioni logiche, comprendendo in queste anche delle variabili che contengono un valore booleano, si utilizzano gli operatori logici (noti normalmente come: AND, OR, NOT, ecc.). Il risultato di un'espressione logica complessa è quello dell'ultima espressione elementare che sia stata valutata effettivamente. Gli operatori logici sono elencati nella tabella u151.10.
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Si è accennato al fatto che in Java, le stringhe siano oggetti e non tipi di dati primitivi. Esiste tuttavia la possibilità di indicare stringhe letterali nel modo consueto, attraverso la delimitazione con gli apici doppi.
Diverse stringhe possono essere concatenate, in modo da formare una stringa unica, attraverso l'operatore +.
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Nel pezzo di codice appena mostrato, appare in particolare l'istruzione seguente:
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L'espressione "Ciclo n. " + contatore si traduce nel risultato seguente:
Ciclo n. 1 Ciclo n. 2 ... Ciclo n. 10 |
In pratica, il contenuto della variabile contatore viene convertito automaticamente in stringa e unito alla costante letterale precedente.
Le strutture di controllo del flusso delle istruzioni sono molto simili a quelle del linguaggio C. In particolare, dove può essere messa un'istruzione si può mettere anche un gruppo di istruzioni delimitate dalle parentesi graffe.
Normalmente, le strutture di controllo del flusso basano questo controllo sulla verifica di una condizione espressa all'interno di parentesi tonde.
if (condizione) istruzione |
if (condizione) istruzione else istruzione |
Se la condizione si verifica, viene eseguita l'istruzione (o il gruppo di istruzioni) seguente; quindi il controllo passa alle istruzioni successive alla struttura. Se viene utilizzato else, nel caso non si verifichi la condizione, viene eseguita l'istruzione che ne segue. Vengono mostrati alcuni esempi.
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L'istruzione switch è un po' troppo complessa per essere rappresentata in modo chiaro attraverso uno schema sintattico. In generale, l'istruzione switch permette di saltare a una certa posizione della struttura, in base al risultato di un'espressione. L'esempio seguente mostra la visualizzazione del nome del mese, in base al valore di un intero:
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Come si vede, dopo l'istruzione con cui si emette il nome del mese attraverso lo standard output, viene aggiunta un'istruzione di salto break, che serve a uscire dalla struttura, perché altrimenti le istruzioni del caso successivo, se c'è, verrebbero eseguite. Infatti, un gruppo di casi può essere raggruppato assieme, quando si vuole che questi eseguano lo stesso gruppo di istruzioni:
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È anche possibile definire un caso predefinito che si verifichi quando nessuno degli altri si avvera:
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while (condizione) istruzione |
while esegue un'istruzione, o un gruppo di queste, finché la condizione restituisce il valore Vero. La condizione viene valutata prima di eseguire il gruppo di istruzioni e poi ogni volta che termina un ciclo, prima dell'esecuzione del successivo. Segue il pezzo dell'esempio già visto, di quella classe che visualizza 10 volte la lettera «x»:
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Nel blocco di istruzioni di un ciclo while, ne possono apparire alcune particolari:
break
esce definitivamente dal ciclo while;
continue
interrompe l'esecuzione del gruppo di istruzioni e riprende dalla valutazione della condizione.
L'esempio seguente è una variante del ciclo di visualizzazione mostrato sopra, modificato in modo da vedere il funzionamento di break. Si osservi che while (true) equivale a un ciclo senza fine, perché la condizione è sempre vera:
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do blocco_di_istruzioni while (condizione); |
do esegue un gruppo di istruzioni una volta e poi ne ripete l'esecuzione finché la condizione restituisce il valore Vero.
for (espressione1; espressione2; espressione3) istruzione |
Questa è la forma tipica di un'istruzione for, in cui la prima espressione corrisponde all'assegnamento iniziale di una variabile, la seconda a una condizione che deve verificarsi fino a che si vuole che sia eseguita l'istruzione (o il gruppo di istruzioni), mentre la terza serve per l'incremento o decremento della variabile inizializzata con la prima espressione. In pratica, potrebbe esprimersi nella sintassi seguente:
for (var = n; condizione; var++) istruzione |
Il ciclo for potrebbe essere definito anche in maniera differente, più generale: la prima espressione viene eseguita una volta sola all'inizio del ciclo; la seconda viene valutata all'inizio di ogni ciclo e il gruppo di istruzioni viene eseguito solo se il risultato è Vero; l'ultima viene eseguita alla fine dell'esecuzione del gruppo di istruzioni, prima che si ricominci con l'analisi della condizione.
Il vecchio esempio banale, in cui veniva visualizzata per 10 volte una «x», potrebbe tradursi nel modo seguente, attraverso l'uso di un ciclo for:
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In Java, array e stringhe sono oggetti. In pratica, la variabile che contiene un array o una stringa è in realtà un riferimento alla struttura di dati rispettiva.
La dichiarazione di un array avviene in Java in modo molto semplice, senza l'indicazione esplicita del numero di elementi. La dichiarazione avviene come se si trattasse di un tipo di dati normale, con la differenza che si aggiungono una coppia di parentesi quadre a sottolineare che si tratta di un array di elementi di quel tipo. L'esempio seguente dichiara che arrayDiInteri è un array in cui gli elementi sono di tipo intero (int), senza specificare quanti siano:
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Per fare in modo che l'array esista effettivamente, occorre che questo sia inizializzato, fornendogli gli elementi. Si usa per questo l'operatore new seguito dal tipo di dati con il numero di elementi racchiuso tra parentesi quadre. L'esempio seguente assegna alla variabile arrayDiInteri il riferimento a un array composto da sette interi:
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Nella pratica, è normale inizializzare l'array quando lo si dichiara; per cui, quanto già visto si può ridurre all'esempio seguente:
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Il riferimento a un elemento di un array avviene aggiungendo al nome della variabile che rappresenta l'array stesso, il numero dell'elemento, racchiuso tra parentesi quadre. Come nel linguaggio C, il primo elemento si raggiunge con l'indice zero, mentre l'ultimo corrisponde alla dimensione meno uno.
Si è detto che gli array sono oggetti. In particolare, è possibile determinare la dimensione di un array, espressa in numero di elementi, leggendo il contenuto della variabile length dell'oggetto array. Nel caso dell'esempio già visto, si tratta di leggere il contenuto di arrayDiInteri.length.
L'esempio seguente mostra una scansione di un array, indicando una condizione di interruzione del ciclo indipendente dalla conoscenza anticipata della dimensione dell'array stesso. In particolare, la variabile i viene dichiarata contestualmente con la sua inizializzazione, nella prima espressione di controllo del ciclo for:
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Un array può contenere sia elementi primitivi che riferimenti a oggetti. In questo modo si possono avere gli array multidimensionali. L'esempio seguente rappresenta il modo in cui può essere definito un array 3x2 di interi e anche come scandirne i vari elementi:
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L'esecuzione di questo piccolo programma, genera il risultato seguente:
matrice[0][0] = 1000 matrice[0][1] = 1001 matrice[1][0] = 1010 matrice[1][1] = 1011 matrice[2][0] = 1020 matrice[2][1] = 1021 |
Le stringhe in Java sono oggetti e se ne distinguono due tipi: stringhe costanti e stringhe variabili. La distinzione è utile perché questi due tipi di oggetti hanno bisogno di una forma di rappresentazione diversa. Così, ciò porta a un'ottimizzazione del programma, che per una stringa costante richiede meno risorse rispetto a una stringa che deve essere variabile, oltre a migliorare altri aspetti legati alla sicurezza.
La dichiarazione di una variabile che possa contente un riferimento a un oggetto stringa-costante, si ottiene con la dichiarazione seguente:
String variabile; |
In pratica, si dichiara che la variabile può contenere un riferimento a un oggetto di tipo String. La creazione di questo oggetto String si ottiene come nel caso degli array, utilizzando l'operatore new.
new String (stringa); |
L'esempio seguente crea la variabile stringaCostante di tipo String e la inizializza assegnandoci il riferimento a una stringa:
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Fortunatamente, si possono utilizzare anche delle costanti letterali pure e semplici. Per cui la stringa "Ciao ciao." è già di per sé un oggetto stringa-costante.
Si è già accennato al fatto che le stringhe-costanti possono essere concatenate facilmente utilizzando l'operatore +:
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L'esempio restituisce un'unica stringa-costante, come quella seguente:
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Inoltre, in questi concatenamenti, entro certi limiti, possono essere inseriti elementi diversi da stringhe, come nell'esempio seguente, dove il contenuto numerico intero della variabile contatore viene convertito automaticamente in stringa prima di essere emesso attraverso lo standard output.
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Le stringhe variabili sono oggetti di tipo StringBuffer e vengono descritte più avanti.
Si è accennato al fatto che una classe che non eredita esplicitamente da un'altra, richiede l'esistenza del metodo main() e viene detta applicazione. Questo metodo deve avere una forma precisa e si tratta di quello che viene chiamato automaticamente quando si avvia il binario Java corrispondente alla classe stessa. Senza questa convenzione, non ci sarebbe un modo per avviare un programma Java.
public static void main (String[] args) { istruzioni } |
Nella sintassi indicata, le parentesi graffe fanno parte della dichiarazione del metodo e delimitano un gruppo di istruzioni.
È Importante osservare l'unico parametro del metodo main(): l'array args composto da elementi di tipo String. Questo array contiene gli argomenti passati al programma Java attraverso la riga di comando.
L'esempio seguente, mostra come si può leggere il contenuto di questo array, tenendo presente che non si conosce inizialmente la sua dimensione. L'esempio emette separatamente, attraverso lo standard output, l'elenco degli argomenti ricevuti.
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«a2» 2013.11.11 --- Copyright © Daniele Giacomini -- appunti2@gmail.com http://informaticalibera.net